Kiss me goodbye: Léon Was Here by Lulù Withheld
Una breve storia di Amore e Perdita. Un piccolo viaggio dedicato all’adolescenza degli anni '90. (Liberamente ispirato a una storia vera).
Qualche mese fa, cercando di liberare gli hard disk, che ormai è come fare un trasloco ogni volta, sono inciampata nel backup di Léon was here.
Dentro c’era un’enorme cartella, grande come la stanza della mia adolescenza, piena di foto e documenti. Non ho resistito, e ho sbirciato. C’erano file di note e appunti, stralci del diario di Anne, scansioni, mp3, estratti di script e foto, una marea di foto.
Dopodiché ho cominciato a piazzare tutto in terra e a camminarci intorno e a spostare le foto e a farle incontrare con alcune parole - tenendo in cuffia a un volume esagerato “Losing Today” degli Slowdive - ed è così che ne ho fatto una piccola “zine”, un omaggio a “quel” lavoro personalissimo e incompleto che è stato Léon was here.
Lulù Withheld
Léon.
Lui che sorride con gli occhi prima che con le labbra. Quegli occhi verdi verdissimi tagliati. Stretti. Che suona il basso e arrangia canzoni che gridano e squarciano l’aria.
Lui che fuma Chesterfield aspettandomi fuori da scuola. Che applaude prendendomi in braccio dopo avere letto le mie poesie. Lui che mi chiama Mia principessa.
Poi. I baci nel sottopasso. I litigi furiosi sul corso. Le fughe con il motorino su per le salite.
Lui che mi chiede di fare l’amore. La mia prima volta. La sua prima volta.
Il copriletto ricamato, gli specchi con le cornici dorate, l’odore di saponette. Il sapere di averlo fatto senza la coscienza di averne goduto.
Quattordici anni io. Sedici lui.
Diventeremo due Rockstar, diceva. Aveva quella luce negli occhi. Quella bella, proiettata nel futuro. Creeremo cose belle Léon, dicevo io. Per sempre, principessa. Rispondeva lui.
Mano nella mano, una sera ci siamo detti addio. Il mio grande amore finiva con una scopata al chiaro di luna sulla spiaggia. Il romanticismo sporcava di sabbia le mie mutandine di adolescente.
Poi ci si rivede, io e lui, una sera a Firenze. Mi chiama e mi dice Sono qui.
Io ho diciott’anni, lui venti.
E abbracciati stretti strettissimi, balliamo sulle note di Nuotando nell’aria sussurrata da Cristiano Godano sul palco della Flog. Mi racconta che lui e la sua ragazza hanno avuto dei problemi, seri. E che si sono lasciati, mi dice baciandomi. Con questa cupa leggerezza continuiamo a ballare. Come due ragazzini. Senza un domani.
Intanto l’aria intorno è più nebbia che altro
l’aria è più nebbia che altro.
Un’altra notte ci diamo appuntamento, durante le vacanze di Natale, per andarcene a fumare erba in collina per guardare le luci della città e le nuvole scorrere veloci, tinte di viola. Mi chiede se sono felice, gli dico che no, nessuno lo è mai. E che qualcuno mi ha ferito a morte, gli dico. Lui mi guarda serio, con quella luce che è diventata violenta negli anni, Lo ammazzo, mi dice.
Lo ammazzo. Chi è. Dimmelo.
Non gli dico della miseria di certi eventi, gli dico Niente, Léon. Non è successo niente.
Three inches above the floor
Man in a box wants to burn my soul
And I’m tired
Quella stessa notte, tornando a valle, la nostra macchina sbanda sul selciato ghiacciato. E, completamente sballati, ci abbracciamo fuori al freddo dicendo Moriremo insieme. La nostra cupa leggerezza, le nostre inutili stronzate.
Promettimelo, mi dice. Te lo prometto, gli rispondo.









Io e lui ci rincontriamo, che sono le nostre ultime volte, nei pomeriggi assolati di un fine agosto, del cazzo. Mio padre è morto da poco, una settimana dieci giorni. Da poco. Io non lo so cosa è la morte, non lo so adesso e non lo sapevo allora che di anni ne avevo venti. Ci incontriamo per caso e finiamo a scopare, in quella stessa stanza delle nostre prime volte. Nulla è cambiato. Il copriletto le cornici l’odore delle saponette.
Tutto lì. Fermo. Come se il tempo non fosse mai passato.
Exit Music (for a Film) copre i nostri gemiti mentre sudati lasciamo cadere quel copriletto. Ci raccontiamo le nostre storie, chi saremo chi vorremmo essere. Gireremo dei film pazzeschi. Dice. E così inquadratura dopo inquadratura ci raccontiamo il film delle nostre vite. Raccogliendo nelle carezze gli ultimi centimetri di pelle dei nostri giovani corpi.
Wake from your sleep
The drying of your tears
Today, we escape
We escape
Uno di quei pomeriggi di fine agosto siamo davanti alla spiaggia vicino alla foce, parcheggiati a fumare a baciarci e a sentire il rumore del mare. Lui mi chiede Vuoi farti con me? Lo guardo, è serio, la luce negli occhi è una roba inguardabile, triste e sincera. La voglio anche io quella luce,
Léon. Dico. La tua è sempre stata così, mi risponde. Mi appoggio sulle sue spalle, nell’abitacolo della macchina, e gli dico Perché no? Non ho niente da perdere io.
Le mattonelle verdi della cucina mi portano lontano lontano. In un dolce dolcissimo limbo. Mentre lì ci facciamo di merda tutto tace. Ogni cosa diventa un piacevole niente, sembra di essere a casa. Di essere finalmente a casa. E la morte e la tristezza e la noia e la violenza cedono il passo a questo infinito meraviglioso silenzio.
Moriremo insieme, mi dice ancora. Lo so, rispondo.
L’ultima volta, la nostra ultima volta, è che siamo ubriachi di Jack Daniel’s alle due del pomeriggio. I suoi sono al mare. La casa è vuota. E ricordo Soderbergh in televisione. Ricordo noi sdraiati nudi sui divani di pelle marrone, le tapparelle abbassate, l’odore del fumo, Beethoven che saturava l’aria.
E ricordo che mi è venuta la nausea. Una nausea pazzesca.
Mi sono alzata per vomitare ma lui mi ha trattenuto, mi ha detto Resta, mi ha bloccato sotto di sé e mi è venuto dentro. La luce nei suoi occhi non c’era più.
Io ventidue anni, lui ventiquattro.
E tutto l’amore era andato perduto. Così me ne sono andata, la nausea, il disgusto, la voglia di piangere. Lui che diceva Moriremo insieme eh mia principessa. Promettimelo. Promettimelo…
Io ho chiuso la porta. Era il tramonto fuori. Io ho sempre odiato i tramonti. Vedi sono la fine delle cose. Sono la luce che scompare dagli occhi delle persone.
Me lo hanno detto stamattina che non c’è più.
Quarant’anni io, quarantadue lui.
Ho cercato di recuperare nella memoria in mezzo ai ricordi le emozioni di quei baci rubati sulle panchine stretti contro i muri nei sottopassi lontani dagli sguardi e la sensazione di eternità nell’incidere i nostri nomi sul legno di quelle stesse panchine sull’intonaco scrostato dei muri sotto Campo di Marte.
Sui muri.
Sulla nostra pelle, Léon.
Lulù Withheld ha compiuto studi artistici alla fine degli anni ’90, a cavallo del millenium bug. Poi, dopo avere abbandonato la facoltà di architettura, ha iniziato a viaggiare per il mondo in cerca di se stessa, e dei suoi fantasmi (interiori). Ha girato una quantità considerevole (nonché effimera) di video, ha partecipato a qualche mostra (collettiva), ha raccontato le sue storie (in forma scritta), ha dato vita ad alcune performance e installazioni. E infine è tornata al punto di partenza, alla fotografia Il primo grande amore della sua vita.