Please, present yourself: BARBARA MARSTRAND
La fotografa danese negli ultimi anni ha viaggiato per il suo paese natale cercando di raccontare le nuove generazioni entrando nel loro spazio più intimo : le camerette. L'abbiamo intervistata.
Ciao, benvenuti in Please, present yourself.
Di cosa tratta questa rubrica? In poche parole ci piace andare alla scoperta di nuovi progetti fotografici e lasciare che siano gli stessi artist* a raccontarsi. Noi pensiamo solo a fare qualche domanda! Facile, no?
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Utilizzare il medium fotografico come strumento di ricerca socio-antropologica. Era questo l’obiettivo di Barbara Marstrand, sociologa e fotografa danese, che a partire dall’ottobre 2021 decise di mettersi in viaggio per la Danimarca, fermandosi in città, piccoli paesi rurali e addirittura nelle più piccole isole, con lo scopo di raccontare la cultura giovanile di oggi, scegliendo come oggetto della sua ricerca uno dei luoghi più intimi, e sacri, di ogni adolescente: la cameretta.
Il risultato è il photo-book, pubblicato dalla casa editrice indipendente Disko Bay, intitolato Still Life of Teenagers, una raccolta di dettagli materiali (peluche, poster, devices, vestiti) ed estetici che offrono una chiave di lettura sul modo di interagire nel e con il mondo degli adolescenti danesi. Come raccontato nel saggio di apertura, scritto dalla docente di fotografia del Dipartimento di Arte e Cultura all’Università di Copenaghen, Mette Sandbye: “Il libro di Barbara offre un attento studio sociologico della cultura giovanile di oggi. Come sono composti gli spazi degli adolescenti danesi, di cosa amano circondarsi, come estetizzano la loro vita quotidiana, quali sono le loro principali preoccupazioni”.
Per far questo Barbara cominciò a mettersi in contatto, tramite passaparola e attraverso Facebook e Instagram, con quelli che sarebbero poi diventati i soggetti, invisibili, del suo racconto. Invisibili perché nelle diapositive della fotografa danese non c’è traccia di persone, e il compito di attivare nello spettatore la curiosità di costruire le singole (che poi singole non sono) storie è affidato interamente a spazi, oggetti e dettagli estetici. Un’interpretazione che quindi passa esclusivamente dalla fotografia che, come ci ha spiegato Barbara nell’intervista che segue, è in grado di “creare nuovi modi di pensare e aprire a una varietà di interpretazioni, piuttosto che offrire una specifica conclusione analitica”.
Please, present yourself...
Sono cresciuta a Copenaghen, dove tutt’ora vivo. Ho studiato sociologia all’Università di Copenaghen e nutro un grande interesse per le dinamiche sociali del mondo in cui viviamo. Da che ricordo, ho sempre avuto un grande interesse per l’estetica e la fotografia. Per questo negli ultimi anni ho cominciato a coniugare sociologia e fotografia in un modo che trovo molto significativo. Della fotografia mi affascinano le qualità estetiche e la sua capacità di trasmettere ambiguità. Allo stesso tempo, mi piace immergermi nelle teorie degli argomenti che mi interessano.
Provieni da studi in sociologia, ma hai adottato la fotografia come tuo medium espressivo e di esplorazione. Come mai la scelta è ricaduta proprio su questo medium?
Sono attratta dalla capacità della fotografia di catturare e comunicare la dimensione visuale della realtà in cui viviamo. Ho sempre passato molto tempo a guardare fotografie e ad analizzare i linguaggi visivi. Essendo stata coinvolta nella ricerca, trovo rinfrescante l’apertura e la curiosità legate all’arte. Mi piace lavorare a processi creativi e di ricerca senza sapere esattamente in quale direzione si svilupperanno. L’arte e la fotografia possono creare nuovi modi di pensare e possono aprire a una varietà di interpretazioni, piuttosto che offrire una specifica conclusione analitica. In questo modo una produzione artistica assume vita propria dopo essere stata sviluppata nel mondo, dove viene definita dallo spettatore. Trovo affascinante sperimentare con questo.
Ci racconti come e perché è nato Still Life of Teenagers, il tuo libro fotografico di debutto, che porta lo spettatore dentro le camere di giovani adolescenti danesi?
Per la mia tesi in sociologia studiai le esperienze dei giovani che crescono in specifiche aree urbane. In quel progetto fui attratta dalla teoria di Hartmut Rosa sulla nostra relazione con il mondo. Mi fece riflettere su quanto ci attragga il mondo che ci circonda e su cosa significa “sentirsi a casa”. Allo stesso tempo mi interessavo alla fotografia e sperimentavo nuovi modi di fotografare, soprattutto gli oggetti. Ho iniziato a leggere di fotografia e mi sono innamorata della sua capacità di catturare e attualizzare dettagli quotidiani che di solito diamo per scontati. In un certo senso si adattava a ciò che stavo già facendo e mi ha dato nuove idee e ispirazioni con cui lavorare. Verso la fine della pandemia i miei interessi sono culminati in Still Life of Teenagers.
Quanto e in che modo, sia dal punto di vista teorico che da quello pratico, la tua formazione in sociologia ha influito sul progetto?
Il mio modo di pensare e comprendere il mondo è fortemente influenzato dalla sociologia. All’università ho imparato a guardare il mondo attraverso diverse prospettive teoriche e a raccogliere dati empirici in modo sistematico ed etico. Ho portato queste conoscenze anche nella mia pratica fotografica. Visitare ed esplorare le case dei giovani può essere visto come un modo alternativo di comprendere e ritrarre le persone rispetto, ad esempio, alle interviste.






Cosa era che più ti affascinava dell’entrare in quei micro-mondi?
Ciò che mi ha affascinato di più sono stati i tanti dettagli e le diverse estetiche che comparivano nelle singole stanze. Non sapevo in anticipo come fossero, quindi era sempre una sorpresa. Dopo diverse visite ho iniziato a vedere alcuni schemi, ma continuava ad esserci sempre un elemento di sorpresa. Mi piace il gioco tra casualità e controllo nel processo di ricerca.
Quale era la tua reazione emotiva ogni volta che entravi in una delle stanze? Hai mai percepito la sensazione di stare violando uno spazio intimo e privato?
Le persone che ho incontrato sono state estremamente accoglienti e concordavamo sempre in anticipo che sarei andata a trovarle. La prima cosa era parlare con la famiglia e con i ragazzi, dopodiché mi concentravo a fotografare. Di solito mostravano interesse verso il progetto. Non mi sento di aver mai violato uno spazio intimo e privato. Piuttosto ho scoperto che le persone coinvolte nel progetto si sentivano osservate. Nel libro appaiono in modo anonimo attraverso le loro stanze.
Nel saggio introduttivo di Mette Sandbye, si legge “le fotografie sono prive di persone, ma piene di vita e presenza corporea” e la loro “assenza” è in effetti uno degli elementi che maggiormente salta all’occhio. Come mai la scelta di ometterli dalla narrazione visiva?
Penso sia interessante prestare attenzione alle cose di cui ci circondiamo nella vita di tutti i giorni e osservare quali pensieri scatenano. È un altro modo di ritrarre le persone, i cui unici elementi per capirle sono rappresentati dalle fotografie delle loro camere da letto. Questo offre allo spettatore diverse possibilità di identificazione e crea un ampio spazio per l’immaginazione.
Guardando le foto emergono dettagli che creano un clima sospeso tra infanzia/adolescenza e il mondo adulto, che è li ad un passo. Cos è che più ti affascina di quella particolarissima fase della vita che è l’adolescenza?
Ciò che mi affascina è proprio che le camerette rispecchiano questa fase di mezzo, tra l’infanzia e l’età adulta. Trovo interessante che da un lato questo gruppo viva a casa con le proprie famiglie e abbia a disposizione uno spazio specifico in cui crescere, mentre dall'altro stanno formando la propria identità orientandosi verso il mondo esterno. Le stanze trasudano un senso speciale di creatività e giocosità, che trovo caratteristico di quella fase della vita.
Facendo parte di una generazione diversa rispetta ai quella dei soggetti che hai coinvolto nel progetto, quali differenze e somiglianze hai notato tra “la tua adolescenza” e la loro?
Una delle differenze più grandi riguarda la tecnologia. Nella mia stanza avevo un’ingombrante Tv e un altoparlante per iPod, che non ho mai trovato nelle stanze dei soggetti coinvolti nel progetto. A loro volta, questi giovani hanno computer, laptop e televisori a schermo piatto, oltre a tecnologie nostalgiche come lettori CD e vinili che usano come decorazioni. Si tratta quindi di uno spostamento di ciò che è interessante, della tecnologia nuova e nostalgica. Tuttavia, ci sono anche molte somiglianze. Ricordo, ad esempio, il tavolo da trucco con specchi e faretti e la sedia usata per riporre i vestiti della mia cameretta.
E quali sono i dettagli che ti hanno colpito maggiormente?
Sono rimasta affascinata dalle decorazioni creative, dal disordine quotidiano come avanzi di snack, piatti vuoti e pile di vestiti, nonché configurazioni di computer e tanti cavi. Mi piacciono le informazioni che derivano dalle tracce casuali lasciate nella vita di tutti i giorni.






Essendo entrata nel loro mondo, che idea ti sei fatta, dal punto di vista sociologico ma anche da quello dell’impegno sociale e politico, delle nuove generazioni?
Lo spirito adolescenziale ha sia una dimensione temporale che una atemporale, che nelle fotografie si esprime in vari modi. Penso che spetti allo spettatore ricavare dalle diapositive un'immagine dei giovani coinvolti nel progetto. Ci tengo però a sottolineare che le foto sono selezionate da un punto di vista estetico e quindi non costituiscono un'immagine rappresentativa di un'intera generazione.
Ultima domanda: ci descrivi come era la tua cameretta?
La mia camera da letto era piuttosto minimalista. Avevo una grande stanza in un appartamento a Copenhagen con un letto matrimoniale dalla struttura nera, poster di riviste giovanili alle pareti, un tavolo da trucco con specchi e faretti, una poltrona a sacco usata per appoggiare i vestiti, un grande armadio bianco lucido e una cassettiera in legno ereditata da mia madre con sopra una TV argentata. Di solito vivo in modo molto ordinato, ma allo stesso tempo sono affascinata dall'estetica del disordine. Oggi vivo in modo molto più colorato di allora.
Barbara Marstrand IG
Per maggiori informazioni su Still Life of Teenagers visita il sito di Disko Bay.