Please, present yourself: Mathias Wasik
Abbiamo intervistato il fotografo di origine polacca, uno dei nomi più interessanti della new-wave di street photographer.
Ciao, benvenuti in Please, present yourself.
Di cosa tratta questa rubrica? In poche parole ci piace andare alla scoperta di nuovi progetti fotografici e lasciare che siano gli stessi artist* a raccontarsi. Noi pensiamo solo a fare qualche domanda! Facile, no?
Qualche tempo fa su Instagram cominciò a circolare un vecchio video che vedeva Bruce Gilden, uno dei massimi esponenti della street photography, all’opera per le strade di New York City. A destare impressione erano l’esuberanza e la fisicità con le quali Gilden si lanciava letteralmente addosso ai soggetti dei suoi scatti in quella che lui stesso, in un’intervista per American Suburb X, aveva definito la “danza della fotografia”. Gilden descrivendo il suo modo di operare aveva infatti dichiarato:
se mai mi incontrassi per strada vedresti una persona molto attiva ed energica che probabilmente, mentre scatta una foto, salta addosso a qualcuno in modo atletico, come se stesse danzando. Tutti i fotografi lo fanno, immagino. Potrebbe essere girato un film sulla danza della fotografia, e penso di aver dato, a modo mio, un grande contributo.
Insieme ad altri maestri del calibro di Joel Meyerowitz, Garry Winogrand, Alex Webb (solo per citarne alcuni, l’elenco sarebbe lunghissimo!), Gilden appartiene a quella cerchia di street photographer che hanno fatto la storia del genere e la cui eredità, negli ultimi anni, è stata raccolta da una nuova generazione di fotografi. Nomi come Trevor Wisecup, Daniel Arnold, Paul Baldonado, Scott Song (anche qui l’elenco sarebbe lunghissimo!), o comunità come Women Street Photographers, oggi invadono i feed di molti appassionati e non di fotografia in quella che sembra assumere i contorni di una vera e propria new-wave della street photography.
Tra questi, uno dei nomi più interessanti, è quello di Mathias Wasik. Di origine polacca, ma cresciuto in Germania, Wasik per anni ha bazzicato le strade della Grande Mela danzando, come il sopracitato maestro Gilden, da un marciapiede all’altro per narrare gli aspetti più singolari dell’umanità contemporanea. I suoi scatti, pubblicati anche su rinomate testate come National Geographic, BBC, Vice, NPR, offrono infatti uno sguardo sulla vita moderna della città di New York, mettendo in luce, con una certa maestria compositiva, gli aspetti più assurdi e quelli più oscuri e contraddittori della cultura americana.
Alla sua passione per la fotografia Wasik ha sempre affiancato quello per la difesa dei diritti umani (oltre ad essere membro del NYC Street Photography Collective (NYC-SPC), organizzazione che promuove la fotografia di strada contemporanea, ha collaborato con Amnesty International e All Out), e proprio l’incontro tra questi due interessi rende i suoi scatti ancora più aderenti e sensibili alla realtà che lo (ci) circonda.
Ci siamo fatti raccontare la sua storia.
Please, present yourself…
Ciao, il mio viaggio è iniziato dall’altra parte della cortina di ferro, in Polonia. Uno scherzo del destino, e il desiderio di libertà da parte della mia famiglia, ci portarono in Germania a metà degli anni 80, e infine, nel 2015, mi sono trasferito a New York City. È qui, in mezzo all’energia incessante e al mosaico di storie umane, che ho trovato la mia vocazione nella fotografia di strada.
Insieme al mio lavoro da fotografo sono anche impegnato come attivista per i diritti umani. Le mie esperienze con Amnesty International e All Out, dove ricopro il ruolo di direttore dei programmi, mi permettono di fondere la passione per la giustizia sociale con le mie attività artistiche.
Più recentemente le correnti della vita mi anno portato nei vibranti paesaggi di Santa Fe, New Mexico, dove attualmente vivo con la mia compagna, Sonia Goydengo, con la quale condivido l’amore per la fotografia.
Quando e come è nata la tua passione per la fotografia?
La mia passione per la fotografia affonda le radici negli anni della mia infanzia in Polonia. A un certo punto mio padre decise di trasformare il nostro bagno in una camera oscura e a me sembrava magico che sparisse li dentro con la sua macchina fotografica per poi riemergere con una manciata di foto stampate su carta. Questi primi ricordi hanno instillato in me la passione per l’arte della fotografia.
Dopo gli anni in Germania ti sei trasferito a New York City. Quanto, la città di New York, ti ha influenzato e come continua ad influenzare il tuo processo artistico?
Con il suo ritmo incessante e la sua vertiginosa diversità New York ha rimodellato la mia identità e la mia arte. Mi ha insegnato a vedere il mondo attraverso la lente di un eterno outsider, a trovare la bellezza nel transitorio, nel tumultuoso.
Entrare a far parte del NYC Street Photography Collective (NYC_SPC) ha rappresentato un momento cruciale perché mi ha permesso di entrare in contatto con una tribù di artisti che condividevano la mia stessa passione e mi aiutavano ad ampliare i miei orizzonti. Ho imparato tantissimo sulla fotografia di strada come forma d’arte, sulla sua storia e sulle figure di spicco. Per me era un mondo completamente nuovo di espressione artistica a cui improvvisamente ho avuto la fortuna di accedere.
Fin dai primi giorni, New York City è diventata la mia tela, sfidandomi a catturarne lo spirito unico e a portare un senso di ordine nel caos della vita quotidiana. Guardare la vita svolgersi attraverso l’obiettivo mi ha aiutato a orientarmi e a iniziare a comprendere questo nuovo mondo, che era diversissimo dal luogo da cui provenivo.
Bruce Gilden in un’intervista aveva descritto la street photography paragonandola alla danza, ti riconosci in questa descrizione?
Assolutamente! La fotografia di strada, per me, è davvero una danza – un balletto eseguito nell’espansione urbana, con ogni passo, ogni movimento deliberato ma spontaneo. Percorro le strade con un mix di agilità e intuito, proprio come un ballerino, sempre in sintonia con il ritmo della città. Per me questa danza fotografica non riguarda solo lo scattare fotografie; si tratta di connettersi con il mondo in un modo profondamente personale.
Cosa deve contenere una tua fotografia affinché tu la possa considerare “valida”?
Non cerco la validità nel senso convenzionale del termine, cerco piuttosto momenti che suscitino qualcosa dentro – che si tratti di umorismo, dramma o una giustapposizione inaspettata. Il mio processo è sia selettivo che riflessivo, concentrandomi su scene che sfidano la banalità. Utilizzo il colore e la composizione per tessere una narrazione, con l'obiettivo di evocare emozioni e suscitare pensieri. Il mio scopo è creare immagini che risuonino, che parlino della condizione umana in tutte le sue complessità.
C’è un fotografo o un artista, non necessariamente proveniente dal mondo della fotografia, che ti ispira o ti ha ispirato e perché?
Il mio percorso è stato fortemente influenzato dalla vivace comunità di fotografi di strada di New York, in particolare dai talenti del NYC-SPC. Gli incontri con artisti come Martin Parr e Jeff Mermelstein, noti per il loro spirito, o le magistrali composizioni di Alex Webb, Harry Gruyaert o Jonas Bendiksen, mi hanno portato a esplorare e sperimentare. Le opere di Garry Winogrand, Jill Freedman o Joel Meyerowitz sono state fari di orientamento nel mio lavoro per le strade di New York. Adoro il lavoro documentaristico di fotografi come Susan Meiselas e Peter van Agtmael. Progetti come Women Street Photographers di Gulnara Samoilova mi ricordano il potere della creatività collettiva. Mi ispiro anche ai film, ad esempio prendo spunto da come Almodovar utilizzi colori vivaci e composizioni elaborate. Ognuna di queste influenze mi incoraggia a superare i limiti e a ridefinire la mia prospettiva.
A primo impatto sembra che i tuoi scatti siano puramente istintivi.. è così, o c’è una particolare ricerca dietro di essi? Quanto è importante l’istintività per te?
L’istinto gioca un ruolo centrale nella mia fotografia. Mi guida per le strade, conducendomi dritto a quei particolari momenti che catturano la mia attenzione. Anche se c'è spazio per la pianificazione, soprattutto quando tratta di eventi o temi specifici, spesso è il mio istinto a dirigere il mio obbiettivo, aiutandomi a catturare l'essenza dell'inaspettato.
Cosa pensi invece della tecnica fotografica?
Credo che la padronanza della tecnica sia fondamentale, ma è solo un punto di partenza. La fotografia, in particolare la street photography, è una danza intima tra l'artista e il soggetto, dove la conoscenza tecnica deve essere bilanciata con creatività e intuizione. Sviluppare uno stile personale richiede tempo e pratica e credo nel potere dell'apprendimento e dell'evoluzione costante.
Qual è la reazione più comune dei soggetti quando si accorgono di essere fotografati? Ti sei trovato a dover gestire momenti “pericolosi”?
La maggior parte di loro non si rende conto di essere stata fotografata, se non quando tutto è fatto. Nelle rare occasioni in cui qualcuno se ne accorge, mi impegno con lui in modo aperto e rispettoso, il che di solito porta a interazioni positive. La fotografia di strada, per me, non riguarda l’intrusione ma la condivisione di esperienze e storie umane reali e non filtrate.
Per fortuna, le reazioni negative sono rare e mi avvicino a ogni interazione con un sorriso e rispetto. Se una situazione diventa tesa, credo nella riduzione della tensione e nella comprensione, facendo un passo indietro se necessario. Il mio obiettivo è catturare i momenti della vita, non creare conflitti.
Come interpreti i tuoi scatti?
Preferisco non categorizzare il mio lavoro, lasciando l'interpretazione allo spettatore. Il mio obiettivo è documentare il mondo che mi circonda, catturare momenti di vita in tutta la loro gloria mondana.
Quanto la fotografia ti ha segnato come persona?
La fotografia è parte integrante di ciò che sono; è raro trovarmi senza la mia macchina fotografica. Ha plasmato la mia visione del mondo, permettendomi di vedere la bellezza nei momenti di tutti i giorni e di connettermi con persone e luoghi in modo profondamente personale. In questo mondo, in cui siamo costantemente distratti, la fotografia di strada è un ottimo modo per affinare la propria attenzione e notare tutte le piccole cose intorno a noi che sfuggono alla maggior parte delle persone.
Sei anche una persona molto impegnata nel sociale. Quanto e come l’attivismo si interseca con la fotografia e viceversa?
Il mio impegno nell'attivismo per i diritti umani spesso converge con la mia fotografia, fornendo una piattaforma per evidenziare questioni e raccontare storie che altrimenti potrebbero passare inosservate. Questa intersezione arricchisce sia il mio attivismo che la mia arte, permettendomi di sostenere il cambiamento attraverso il potente mezzo delle immagini.
Se ti dicessimo di chiudere gli occhi quale sarebbe la prima fotografia che vedresti proiettata dalla tua mente?
La prima fotografia che mi viene in mente è quella di Jonas Bendiksen dal suo libro del 2006, Satellites. È una fotografia sulla quale torno spesso, non solo per la sua maestria compositiva, ma perché risuona profondamente con le mie radici nell'ex blocco orientale. La fotografia mostra due abitanti di un villaggio nel territorio dell'Altai in Russia in un ambiente surreale, mentre raccolgono i rottami di un'astronave precipitata. È un'intersezione toccante tra passato e futuro, dove i resti dell'esplorazione spaziale toccano la vita terrena e quotidiana.
Per me è una metafora visiva della condizione umana: la nostra intraprendenza, la nostra curiosità e la nostra incessante ricerca dell'ignoto. Questa immagine mi ricorda che c'è un frammento di straordinario nella nostra vita quotidiana e, come fotografo, è un privilegio catturare quell'essenza attraverso il mio obiettivo.