Please, present yourself: PIOTR PIETRUS
Il fotografo di base a Berlino ci ha parlato di quella che è la sua personale visione di un'estetica della resistenza, dove poetico e politico si incontrano fino a diventare tutt’uno.
Ciao, questa che state per leggere è la rubrica Please, present yourself.
Di cosa tratta questa rubrica? In poche parole ci piace andare alla scoperta di nuovi progetti fotografici e lasciare che siano gli stessi artist* a raccontarsi.
Noi pensiamo solo a fare qualche domanda!
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Una mano allungata in aria afferra un fumogeno, due dense nuvole di fumo rosa e nero rimangono sospese prima di quella che sarà la loro naturale dissoluzione. Un semplicissimo hula hoop fluttua a pochi centimetri da terra, mentre l’abbraccio tra due manifestanti sembra il tenero atto di difesa da un sinistro plotone di poliziotti in tenuta antisommossa.
I progetti del fotografo e skater Piotr Pietrus si muovono da sempre in questo doppio terreno in cui dettagli all’apparenza banali ed effimeri (Cicha Woda) si alternano e fondono con la materialità di corpi che rappresentano la manifestazione di atti di resistenza ad ingiustizie sociali ed ecologiche (R94, The Aesthetics of Resistance). Le fotografie di Piotr non rappresentano però l’effettiva istantanea di un momento, ruolo da sempre attribuito alla fotografia, ma piuttosto sembrano evocare momenti di temporanea e fugace sospensione. Così, la mente di chi osserva è quasi inevitabilmente portata a pre-figurarsi quello che sta per accadere e alla fine, chiudendo gli occhi, le immagini di Piotr si animano e creando significati in continua evoluzione.
Nell’intervista che segue abbiamo parlato con Piotr di quella che è la sua personale interpretazione di una estetica della resistenza (nome di uno dei suoi tanti progetti di natura politica), di come politico e poetico si fondono nei suoi lavori e dei deprimenti, ma ormai inarrestabili, effetti della divorante società consumistica.
Please, present yourself...
Ciao, sono Piotr, un fotografo e skater che vive tra Berlino e la sua città natale nelle montagne polacche.
Cosa ti ha fatto avvicinare alla fotografia e cosa rappresenta questa per te?
Non ho mai fotografato seriamente fino alla metà dei miei venti anni. Ho sempre sperimentato diversi modi per esprimere me stesso e la fotografia mi ha dato una certa libertà nel modo in cui ho cominciato a vivere il mondo intorno a me. Intuitivamente mi sento come se mi stessi sempre muovendo nella direzione di diventare un fotografo professionale e più mi avvicino, più l’attrazione diventa forte. La fotografia mi mantiene curioso, giocoso e riconoscente per essere vivo.
Gran parte delle tue fotografie sono, al tempo stesso, poetiche e politiche. Come riesci a far coesistere e come si intersecano questi due concetti?
Nella mia pratica di fotografo mi piace procedere su due o più binari, e due di questi potrebbero essere il poetico e il politico. Questo modo di operare mi permette di saltare dall’uno all’altro, o più interessante, fondere insieme questi due mondi e vedere cosa succede. Il tradizionale percorso foto-giornalistico è ormai logoro e in giro ci sono così tanti grandi fotografi che non vedo alcuna utilità nel seguire questa strada già battuta. Per evitare questo cerco di aggiungere uno strato poetico agli eventi. In questo modo la timeline e le informazioni trasmesse diventano leggermente più astratte concentrandosi su dettagli e frammenti che descrivono gli eventi in un modo inaspettato.
Dopo aver documentato le manifestazioni attorno al vertice del G20 ad Amburgo, le persone che erano presenti mi hanno detto che la mia serie rappresentava genuinamente quelli che erano i loro stati d’animo durante quei giorni di follia. Questo mi ha fatto capire di essere sulla strada giusta.
Credi nella fotografia come strumento per influire, o addirittura, cambiare la società?
Spero che possa farlo, ma immagino che il suo impatto non possa essere mai misurato. Tuttavia la fotografia e l’arte sono insostituibili in una società sana in quanto rafforzano il pensiero critico e l’empatia. Due elementi essenziali che al momento sembrano mancare.
Uno dei tuoi ultimi progetti si intitola Cicha Woda (in inglese Silent Water). Tu stesso lo hai descritto come “a photo series that is guided by a search for ephemeral flashes in our fast-paced life”, ce ne parli?
Cicha Woda è un progetto ancora in corso che mi permette di cercare attivamente alcuni dettagli in tutto ciò che appare banale. Un po’ come andare alla ricerca di funghi in un bosco. È anche un buon esercizio per essere nel presente e rimanere giocoso.
In Cicha Woda molte foto sembrano assurde e banali, ma combinate insieme creano un qualcosa di più profondo. Viene quindi a crearsi questa dicotomia banale vs. profondo. Quale è la tua chiave di lettura?
È guidato dalla mia intuizione quindi, quando provi a interpretarlo, questo sfugge da una narrazione logica. Forse la cosa migliore è paragonarlo a un brano musicale.
Cicha Woda sembra rappresentare una tua volontà di sottrarti dalla confusione e dalla velocità di quest’era concentrandoti su dettagli anche futili. Era questa la tua intenzione?
Quando vado a trovare mia nonna in Polonia e vedo con quanta pazienza lei attenda la fine dei quindici minuti di blocco pubblicatario per andare avanti con il film che sta guardando, provo un leggero senso di claustrofobia. Questa totale assenza di significato e verità sullo schermo viene venduta come un ideale per il quale vale la pena lottare. È un po’ come i libri sugli scaffali di IKEA. Vedi un nome sul dorso e quando prendi il libro in mano, all’interno è vuoto. È solo un involucro, proprio come la stanza in cui si trova.
Ho anche questa idea su come stiamo modellando il nostro mondo. Questa corsa senza fine per soddisfare i nostri desideri attraverso l’acquisto di prodotti: invece di raggiungere una soddisfazione che sia duratura, il vuoto non fa altro che aumentare. Secondo me è proprio questo vuoto che alla fine ci rende inclini a ogni sorta di propaganda e porta a questo proliferare spaventoso di governi di destra in tutto il mondo.
Come interpreti artisticamente (e non) il presente?
I momenti di maggiore soddisfazione che traggo dallo scattare fotografie sono quelli in cui mi sento nel presento, non distratto dai miei pensieri o dalle mie emozioni.
La concettualità di Cicha Woda si scontra con l’essenza della praticità di un altro tuo progetto, The Aesthetics of Resistance. Qui il racconto si prende la scena a discapito di un approccio più squisitamente artistico.. ti senti più un reporter prestato all’arte o viceversa?
Non so cosa mi sento di più. Mi sembra di oscillare avanti e indietro costantemente, ma ovviamente le cose sono diverse quando ottengo un incarico.
Durante un incarico il contesto diventa più preciso e orientato all’obiettivo e io stesso mi sento abbastanza a mio agio all’interno di questa cornice, fintanto che possa continuare a lavorare con il mio stile. In The Aesthetics of Resistance mi trovo in questa strana zona tra il reporter e l’artista, è la mia personale zona che sto costruendo attorno a me. Cresce e si evolve nel tempo, motivo per cui per questo progetto non ho ancora fissato una deadline. Sento che ho ancora molto da scoprire.
Ci racconti una o più foto a cui sei sentimentalmente e emozionalmente affezionato?
Sono così dannatamente sentimentale... ce ne sono troppe. Ovviamente fotografo molto mio figlio e anche lo scatto più casuale diventa, nel tempo, un ricordo speciale. Guardandolo ricordo sempre l’esatto momento e il luogo e realizzo come il tempo sia passato da allora ad adesso.